E’ LEGITTIMA LA RICHIESTA DI RISARCIMENTO DEL DANNO PER TARDIVA ESECUZIONE DEL DECRETO CHE DISPONE L’EQUO INDENNIZZO AI SENSI DELLA LEGGE 89/2001 (CD. LEGGE PINTO)?

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Mancata esecuzione del decreto ex Legge Pinto e successivo giudizio di ottemperanza. Riconoscimento dell’astreinte al ricorrente per tardiva esecuzione del provvedimento.

Ai sensi dell’articolo 2 legge 24 marzo 2001 n. 89 “chi ha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto di violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione, ha diritto ad una equa riparazione.”

La normativa in oggetto ha subito, sin dal periodo immediatamente successivo alla sua entrata in vigore, modifiche normative ed interventi giurisprudenziali. 

Le Sezioni Unite, con sentenza num.1338/2004. hanno stabilito che  “…in tema di equa riparazione ai sensi dell’art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, il danno non patrimoniale é conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali: sicché, pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno non patrimoniale “in re ipsa”, ossia di un danno automaticamente e necessariamente insito nell’accertamento della violazione, il giudice, una volta accertata e determinata l’entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo secondo le norme della citata legge n. 89 del 2001, deve ritenere sussistente il danno non patrimoniale ogni qualvolta non ricorrano, nel caso concreto, circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente…così evitandosi i dubbi di contrasto con la Costituzione italiana, la quale, con la specifica enunciazione contenuta nell’art. 111, tutela il bene della ragionevole durata del processo come diritto della persona, sulla scia di quanto previsto dalla norma convenzionale. “

Ciò premesso si tratta di comprendere, quali siano i rimedi concessi al ricorrente che, una volta ottenuto il riconoscimento del diritto al pagamento diritto ad un equo indennizzo e dei relativi interessi, a seguito del mancato adempimento si veda costretto a promuovere giudizio di ottemperanza per ottenere l’adempimento dell’Amministrazione, a seguito del ritardo di quest’ultima, ha diritto ad un ulteriore indennizzo, o “equa soddisfazione.

Sul punto, va ricordato che, ai sensi dell’art. 112, comma 2, lett. c, il ricorso per l’ottemperanza innanzi al giudice amministrativo è esperibile anche nei confronti dei decreti non opposti di condanna all’equa riparazione previsti dall’art. 3, l. 24 marzo 2001, n. 89 (c.d. legge Pinto), avendo essi natura decisoria su diritti soggettivi e idoneità ad assumere valore ed efficacia di giudicato (Trga Trento 9 luglio 2014, n. 279; Tar Molise 14 maggio 2014, n. 303; Tar Lecce, sez. III, 20 gennaio 2014, n. 200; id., sez. I, 10 gennaio 2014, n. 82), e quindi anche per il capo degli stessi decreti che condanna alle spese e agli onorari del giudizio.

Questo principio è stato ribadito dalla Prima Sezione del TAR Lazio, che con sentenza del 23.11.2015 num. 13245 ha accolto l affermando che la stessa è comminabile anche quando l’esecuzione del giudicato consiste nel pagamento di una somma di denaro atteso che l’istituto assolve ad una finalità sanzionatoria e non risarcitoria, in quanto non è volto a riparare il pregiudizio cagionato dalla non esecuzione della sentenza, ma a sanzionare la disobbedienza alla statuizione giudiziaria e stimolare il debitore all’adempimento (cfr. Cons. St., sez. III, 16 settembre 2014, n. 4711; Tar Lazio, sez. III quater, 22 dicembre 2014, n. 13071).

Tale istituto trova altresì applicazione nel caso di decreto di condanna all’equa riparazione previsto dall’art. 3, l. n. 89 del 2001 (Tar Lazio, sez. I, 30 dicembre 2014, n. 13176).

In particolare, la Prima Sezione del TAR Lazio, che con sentenza del 23.11.2015 num. 13245 ha affermato che: “la quantificazione della suindicata penalità possa essere in via generale effettuata prendendo a fondamento il parametro, individuato dalla CEDU, dell’interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante tale periodo, aumentato di tre punti percentuali”.

Il tasso sopra individuato, da applicare sulla sorte capitale dovuta a titolo indennitario, dovrà essere quindi corrisposta a titolo di sanzione a carico dell’amministrazione, a far tempo dalla notificazione ovvero, se anteriore, dalla comunicazione in via amministrativa della presente decisione e fino all’effettivo soddisfacimento del credito o, in alternativa, fino alla data di insediamento del commissario ad acta.